Patricia Lockwood non racconta solo momenti emblematici della sua infanzia e adolescenza (da una maldestrissima battuta di caccia in famiglia a una manifestazione antiabortista davanti a una clinica che si conclude con l’arresto del padre, al suo coinvolgimento in una specie di culto frequentato da un gruppo di giovani cattolici), ma anche gli otto lunghi travagliatissimi mesi che lei e suo marito hanno trascorso nella casa dei genitori dopo un decennio di vita indipendente, mesi nei quali Patricia ha cercato di educare a modo suo un seminarista che viveva con loro nella canonica, ha cercato di spiegare i riti arcani tipici del cattolicesimo al marito sconcertato e – insieme alla madre – si è imbattuta in una sostanza misteriosa su un letto d’albergo.
Saltando con estrema nonchalance dal volgare al sublime, dal comico al profondo, al poetico, Priestdaddy dipinge in modo divertente e indimenticabile un’educazione religiosa molto sui generis e l’equilibrio quanto mai precario tra un’identità conquistata a duro prezzo e il peso della famiglia e della tradizione, ma finisce per essere soprattutto un ritratto dell’America di oggi, così profondamente divisa nell’intimo, così dilaniata al proprio interno, così anarchica e vitale.
Un memoir pieno di poesia e di triviale bellezza che ha conquistato i lettori d’Oltreoceano.
Se il New Yorker (di cui sono abbonata fedele) ha descritto Lockwood come "un esempio di brillante sciocchezza", e Priestdaddy come "davvero brillantemente sciocco, con molta commedia spremuta dalla sua educazione cattolica" non posso che dirmi d'accordo, se non per il fatto che alla fine della lettura non è che lo voglia per forza consigliare o che sia una lettura a tutti consigliabile proprio per lo stile dell'autrice. Non lo apprezzeranno i cattolici più legati alla fede e al suo simbolismo, coloro che non colgono la strana e sottile (?) ironia americana ed infine coloro che non amano un linguaggio molto spesso intriso di volgarità e sessualità spinta.
Fino a questo punto avrei bocciato questo romanzo su tutta l'intera linea, e pur continuando a bocciarlo da un punto di vista stilistico, con cui non mi trovo mi trovo proprio in linea ... non posso che promuoverlo ed a dirmi apprezzarlo.
Perché le intenzioni della Lockwood sono davvero meritevoli. Con questa storia - infatti - vuole sostanzialmente far presente al mondo che non occorre e non bisogna accettare dogmi per buoni senza porsi domande, tanto per le cose che ci vengono porte che quelle che ci vengono imposte, non ci possiamo far andar bene tutto e non si possono accettare le cose così come sono. La Lockwood ci dice - con parole molto spesso arrabbiate (anche visto le sue vicende personali) ovvero velate da sardonica ironia - che è cosa buona e giusta farsi domande su quello che è la religione, quello che è la nostra società, ciò che in generale facciamo e il contesto in cui viviamo. Ho davvero molto, molto apprezzato tutto l'intento di questo libro, che odia profondamente l'ipocrisia e vorrebbe molto spesso l'esame di coscienza da parte delle persone.
Ci sono molti passaggi davvero molto spontanei e belli, come la riflessione sui bambini, sui genitori, sui fratelli e sulla famiglia, l'educazione, la salute mentale, la religione (in alcuni punti) e la violenza. Vi consiglio in particolare la lettura del capitolo 14 "Voce" per le tematiche e il capitolo 17 "Missouri Horror", ma ce ne sono alcuni altri molto interessanti.
Non ho amato molto lo stile, che comprendo, che si può affrontare tranquillamente, ma che per me ha fatto un po' da "muro" nell'affrontare questo "flusso di coscienza" dell'autrice. Detto ciò lo consiglio a tutti coloro che hanno voglia di una storia che possa far riflettere sui propri principi e i propri valori non perché viene detto di farlo, ma poiché viene naturale farlo ascoltando un'esperienza personale sicuramente estrema e proprio per questo d'impatto.
Patricia Lockwood
è nata a Fort Wayne, nell'Indiana, ed è stata educata e cresciuta nelle peggiori città del profondo Middle West americano. Ha pubblicato due raccolte di poesie: Balloon Pop Outlaw Black e il premiatissimo Motherland Fatherland Homelandsexuals. Ha scritto su "The New York Times", "The New Yorker", "The New Republic" e "London Review of Books". Vive a Savannah, in Georgia.
Dalle prime righe, il prete mi ha ricordato Joel Dexter di Hollyoaks (soap britannica):
RispondiEliminahttps://hollyoaks.fandom.com/wiki/Joel_Dexter
Per quanto riguarda le considerazioni della Lockwood sul farsi domande etc., il suo è il punto di vista di un'atea che ha trovato in qualcosa di diverso dalla religione il soddisfacimento delle proprie esigenze spirituali. Chi è monoteista e segue una religione tradizionale, tuttavia, pure facendosi domande, è normale accetti alcuni 'dogmi' proprio perché l'obiettivo è il soddisfacimento dei propri bisogni spirituali non la ricerca della verità rivelata... volevo dire, assoluta.
Mi chiedo a questo punto che genere di 'dogmi' non religiosi accetti la Lockwood.
Ammetto che questo libro non pare rientrare esattamente nel mio genere. Lo stile eclettico, però, mi intriga.
@Ludo
RispondiEliminaCome sempre sono in ritardo per i commenti 😅 ... ma rispondo! Devo aggiornarmi in merito alla serie tv, che confesso di non aver mai sentito! 🤪 Per la Lockwood confesso che ci ho messo davvero un po’ di tempo per mettermi in linea con il suo modo di scrivere e di esporre il suo pensiero, che sicuramente è immediato, spontaneo e per questo - da un lato - molto accattivante. Come te continuo a credere che i suoi scritti non siano il mio genere, e credo che nemmeno lei sappia dire se abbia (e se accetti) dogmi di alcun genere. Penso sia una persona che ha avuto traumi molto profondi e cerchi sostanzialmente di (ti)partire dalle sue certezze e da sue nuove regole morali per trovare la propria stablità. Credo inoltre che la scrittura sia un modo per lei per affrontare il mondo e mettere per iscritto quello che pensa, come per fermarlo e mettere dei punti certi in quel che crede. Fa anche bene a me quello che scrive, pensa, elabora, crede? E’ utile anche a me? Ni. Prendo la sua esperienza, ma non assimilerò che 1/3, filtrato e metabolizzato.