Autrice americana di memorie spassose, in contrasto con la drammaticità delle esperienze narrate, oltre a La peste e io (1946) Betty MacDonald (1908–1958) pubblicò L’uovo e io (1945), in cui descrisse gli anni trascorsi da neo-sposa a fare l’allevatrice di galline in un luogo del tutto inospitale, e Tutti possono fare tutto (1950), esilarante racconto dei suoi tentativi di trovare un lavoro durante la Grande Depressione.
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La
peste
e Io
di Betty MacDonald
pagine 256
prezzo 18€
Astoria Editore
già disponibile
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Colpita a trent’anni dalla tubercolosi, malattia non inusuale ai tempi e terrorizzante come un brutto tumore oggi, Betty viene ricoverata in sanatorio per un periodo di tempo imprecisato.
La cura – all’epoca non esistevano antibiotici adatti – era particolare: all’inizio i pazienti dovevano giacere a letto immobili per settimane. Non potevano parlare, non potevano leggere né scrivere, non potevano alzarsi, non potevano ridere.
Prima di tutto, però, Betty è affetta da una felice attitudine alla vita, alla gente, all’ironia, che le consente di guardare in faccia la malattia e le regole apparentemente folli del sanatorio. Pur non tacendo la paura, la disperazione, certi tratti meschini della vita in ospedale (o, forse, della vita in generale?) è capace di sorriderne, di avere pietà degli altri e anche di se stessa.
In queste pagine si nasconde una storia molto particolare, triste ma al tempo stesso comica, che spiazza il lettore, forse un po’ intimidito dalla lucidità quasi spietata di questa donna coraggiosa; poi, quasi suo malgrado, si ritrova a vivere, soffrire, ridere e infuriarsi con lei, si sente a casa nella vita claustrofobica e artificiale del sanatorio, viene sedotto dal fascino di alcuni personaggi e urtato dalla pochezza e grettezza di altri.
Senza averne l’aria e forse senza volerlo, MacDonald offre una grande lezione di vita a chi desidera coglierla; è inutile far finta di non vedere la disperazione, il brutto, la sventura; molto meglio accogliere questi immancabili compagni di certi periodi dell’esistenza con una risata – anche se un po’ a denti stretti.
...o. Estratto dal Prologo .o...
"Prendersi la tubercolosi a metà della vita è come andare in centro per fare un sacco di commissioni urgenti e venire investiti da un autobus. Quando riprendi conoscenza non ricordi assolu- tamente niente delle commissioni urgenti. Non ricordi nemmeno dove stavi andando. Adesso le cose importanti sono il dolore alla gamba, le tte alla schiena, cosa mangerai per cena, chi c’è nel letto accanto al tuo.Per storia personale e indole alcune persone sono più adatte di altre a venire investite da un autobus. Per esempio Doris, che aveva lavorato con me in un u cio statale. Sua madre aveva un piccolo tumore, il padre una gamba “che proprio non andava”, Doris una quantità di “problemi femminili” e tutti speravano che la nonna avesse il cancro. Doris, i suoi fratelli e le sue sorelle, le zie e gli zii, sua madre e suo padre, sua nonna e suo nonno, tutti loro, avevano cominciato la vita da minuscoli neonati prematuri, formati a malapena, portati in giro su cuscini e nutriti con il con- tagocce. Se riuscivano ad arrivare vivi al primo compleanno, e ci riuscivano spesso, da quel momento la loro vita era un susseguirsi di continui dolori, patimenti, starnuti e colpi di tosse. Quando Doris o un qualsiasi altro membro della sua grande famiglia ma- laticcia si chiedevano come stavano non era solo un convenevole: volevano saperlo davvero.Erano così timorosi di ammalarsi che si preparavano per le giornate da ra reddore in anticipo sui germi, come se si allenas- sero per la partita dell’anno. Il lunedì mattina a colazione Doris annunciava che forse le sembrava di avere un inizio di ra reddore. Tutta la casa si mobilitava all’istante, e per tutta la settimana le davano del tè bollente con whisky e limone, un maglioncino da indossare sotto la camicetta, una quantità di pillole da portare in ufficio con tanto di gocce per il naso – che Doris applicava stesa sulla scrivania con la testa a penzoloni –, un piccolo paravento da mettere intorno alla scrivania per combattere gli spi eri, trattamenti con lampade solari sulla schiena, pediluvi alla senape e tutto l’incoraggiamento del mondo."
da "La peste e io" di Betty MacDonald
Betty MacDonald
(1908–1958)
Nacque in una famiglia composta da persone di ottimo carattere e piene di risorse. La madre, rimasta presto vedova, non si perse d’animo, s’inventò dei lavori e crebbe in allegria cinque figli. Betty si sposò per la prima volta a vent’anni e subito dopo la luna di miele si trasferì con il marito in un allevamento di galline nella Chimacum Valley, luogo desolato, bollente d’estate e gelido d’inverno. Dopo quattro anni e due figli, Betty tornò con i bambini a casa, a Seattle, dove – correva l’anno 1931 – tentò di trovare un lavoro per mantenersi. Impresa non facile, visto che erano gli anni della Grande Depressione, ma aiutata dalla sorella e dopo aver provato quasi tutto, trovò un lavoro soddisfacente. Purtroppo nel 1937 si ammalò di tubercolosi e venne ricoverata per nove mesi al Firlands Sanatorium vicino a Seattle, affidando le figlie alla madre. Nel 1942 si risposò con Donald C. MacDonald e i due si trasferirono nell’isola di Vashon, vicino a Seattle, dove l’autrice scrisse tutti i suoi libri.
Nel 1945 venne pubblicato L’uovo e io, memoir spassosissimo sulla sua esperienza come allevatrice di galline: divenne un best seller e ne fu tratto anche un film. Nel 1946 pubblicò La peste e io, nel 1950 Tutti possono fare tutto, sui suoi tentativi di trovare un lavoro al ritorno dalla Chimacum Valley, e nel 1955 Cipolle nello stufato, sulla sua vita a Vashon Island durante la guerra.
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La vita
ha scelto
per noi
prezzo 0.99
già disponibile
autopubblicato
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Una madre volata in cielo troppo presto, un fratellino abbandonato ad un nuovo destino e un padre che cresce sua figlia con un segreto che cambierà le loro vite. Una storia commovente che fa riflettere sul valore della vita.
...o. Estratto .o...
"Eccomi qui, nella mia stanza rosa piena di libri, seduta con una tazza di tè bollente in una mano e nell’altra un libro dalla copertina ingiallita, chissà di che epoca sarà. Fuori il tempo è grigio e minaccioso. Qui a Londra è quasi sempre così. Io intanto aspetto la sua lettera con impazienza e ormai mi chiedo se arriverà mai, sono passati troppi anni dal nostro primo incontro."
Gaia Conti
Gaia si presenta così: "Ho 15 anni e mi piace molto leggere e scrivere. Scrivo fin da quando avevo 7 anni, questo mondo mi ha fin da subito incantato. Far conoscere alla gente ciò che scrivo è come farli viaggiare nella mia mente, farli vedere con i miei occhi e farli entrare in questo mio mondo."
Se pensiamo che l'attrice Vivien Leigh (Via col vento) è morta di tubercolosi, non possiamo che concordare con la citazione: "Prendersi la tubercolosi a metà della vita è come andare in centro per fare un sacco di commissioni urgenti e venire investiti da un autobus."
RispondiElimina... Concordo assolutamente ... ecco perchè non riesco a decidermi se dare una possibilità a questo romanzo oppure no!!!
RispondiElimina:D ;)
Endi